Quando un medico portoghese divenne Patriarca d’Etiopia e i Copti furono a un passo dalla conversione. [STORIE RELIGIOSE]

Quando un medico portoghese divenne Patriarca d’Etiopia e i Copti furono a un passo dalla conversione. [STORIE RELIGIOSE]

L’Etiopia, terra africana che porta con sé una storia millenaria, e che sconfina nella genesi dei tempi, è oggi molto poco conosciuta e riscuote (relativamente) molto pochi interessi, a fronte invece di ciò che rappresenta ed ha rappresentato la sua storia.
L’importanza di questa terra, da un punto di vista religioso e di storia delle religioni (che è poi il criterio su cui si fonda questo studio), possiede una rilevanza addirittura Biblica: l’Etiopia viene infatti nominata nel primo Libro del Pentateuco, in Genesi 10,6 dove si parla di Etiopia come uno dei figli di Cam, a sua volta figlio del Patriarca diluviano Noè. In questo versetto, infatti, Etiopia fa parte dei figli di Cam, insieme ad Egitto, Put e Canaan (quest’ultimo, è anche il nome della Terra Promessa che verrà occupata da Israele a seguito dell’Esodo egizio).

Ecco, al netto di qualunque valutazione o affermazione, con cui da tempo si dibatte sul fatto che i nomi dei figli e dei discendenti dei Patriarchi antidiluviani e postdiluviani, fossero piuttosto dei nomi di popoli che non invece dei nomi propri di persona, certamente l’importanza storica e religiosa di questa terra, che è l’Etiopia, non può quindi passare inosservata e soprattutto non merita la scarsa considerazione di cui attualmente gode.

Ad oggi, la Nazione etiope è una terra a maggioranza religiosa cristiana, che a sua volta consta di una predominanza di matrice Copta, sulle altre fedi Cristiane presenti nel territorio. La fede cristiana copta, rende la Chiesa etiope dipendente da un punto di vista di amministrazione ecclesiastica, da Alessandria d’Egitto, in cui ha sede il Patriarca Copto dal quale dipende il Metropolita etiope. Ma le particolarità teologiche e spirituali che rendono interessante la cristianità etiope, almeno da un punto di vista dello studio storico delle religioni, non finiscono qui; i Copti etiopi, infatti, vantano e tutelano una loro discendenza ebraica nientemeno che da Re Salomone stesso.

In un loro libro di epica leggendaria e religiosa (il Kebra Nagast), si narra di come la famosa Regina di Saba che si recò in Gerusalemme per conoscere la sapienza del Re Salomone, prima di fare ritorno in patria, concepì un figlio con il sovrano, che chiamò Menelik I; questi, divenuto adulto, si sarebbe recato presso Gerusalemme per fare la conoscenza del padre, e lì sarebbe stato addirittura unto come sovrano di Etiopia, quasi a voler rendere fratelli i due Regni.
Nell’unzione ricevuta, Menelik avrebbe ricevuto il nome di Davide, come suo nonno paterno; prima del suo ritorno in Etiopia, per il quale suo padre aveva disposto che fosse accompagnato da Azariah, figlio del Sommo Sacerdote Zadòk, e dai primogeniti delle varie tribù, secondo il Kebra Nagast Azariah avrebbe trafugato l’Arca dell’Alleanza che da quel momento avrebbe vissuto in Etiopia (alcuni ritengono che abbia invece preso le Tavole della Legge in Essa presenti) sostituendone una copia. Questa sostituzione avrebbe, secondo alcuni studiosi, adempiuto alla profezia del Libro di Ezechiele nel quale si annuncia che l’Arca sarebbe scomparsa, e che sarebbe stata dimenticata e nessuno l’avrebbe più cercata, e non sarebbe più comparsa fino al Giorno del Giudizio finale.

Tra l’altro, il forte sentimento filo sionista dei copti etiopi, ha fatto in modo che la loro Chiesa assumesse come canonico, un libro considerato apocrifo da ebrei e cattolici: il Libro di Enoch, che è di origine giudaica e non etiope, nel quale si fa un dettagliato racconto della Genesi, del periodo antidiluviano e dei rapporti tra gli esseri celesti, e tra questi e gli esseri umani. La cosa che rende interessante questo libro è che pur essendo considerato apocrifo dalla Chiesa Cattolica Romana, la Lettera di Giuda, inserita negli scritti del Nuovo Testamento, faccia espresso richiamo al Libro di Enoch (Giuda 14,15).

Ma ciò che rende ancor più interessante la storia religiosa e cristiana etiope, è il fatto che attualmente la Chiesa Copta d’Etiopia, affermi possedere nientemeno che l’Arca dell’Alleanza, custodita nel Sancta Sanctorum della Basilica di Santa Maria di Sion, ad Axum.

Sebbene nel 1988 una Dichiarazione Comune tra la Chiesa Romana guidata da San Giovanni Paolo II e Chiesa copta, abbia riavvicinato cristologicamente le due formazioni ecclesiastiche, per secoli e secoli, la Chiesa Copta Etiope fu sostenitrice della dottrina eretica monofisita, secondo la quale in Cristo fosse stata presente la sola natura Divina che ne avrebbe assorbito quella umana. Questo, insieme al rifiuto del riconoscimento del primato petrino in Capo al Vescovo di Roma, aveva reso e (in parte anche tuttora) rende lontana la Chiesa Copta da quella Cattolica Romana.

Ma è invece alquanto interessante notare come qualche secolo fa, i copti etiopi, sarebbero potuti divenire fratelli cattolici in comunione con la Chiesa di Roma. Nel 1520, infatti, una spedizione portoghese venne in aiuto dei copti etiopi, contro l’avanzata musulmana nei loro territori, capeggiata da Ahmad ibn Ibrahim al-ghazi, conosciuto anche come Gragn. Fermata l’invasione, quasi tutti gli europei tornarono nel Vecchio Continente, tranne il medico Giovanni Bermudes che nel 1538 venne nominato abuna (cioè Vescovo) dal vecchio Abuna Marcos. Questa nomina fu subordinata alla presa in carico da parte del nuovo ”abuna” Giovanni, nel recarsi in Europa e chiedere aiuto e sostegno in armi, presso la Chiesa di Roma.
La nomina però presentava non pochi problemi di ordine rituale e teologico: non solo infatti la nomina di un abuna spettava solamente al Patriarca d’Egitto, ma a complicare le cose, vi era il fatto che Giovanni Bermudes non fosse nemmeno un Sacerdote.
Tornato poi in Portogallo, sebbene Papa Paolo II non gli ebbe riconosciuto la nomina episcopale, ciononostante gli venne accreditato il titolo mai esistito prima di allora, di Patriarca d’Etiopia. Giovanni allora decide di imbarcarsi per le Indie con la spedizione del Governatore dell’India, Stefano De Gama, il quale giunto sul Mar Rosso presso Massaua, dietro le pressioni del neo Patriarca Giovanni, decise di affidare una spedizione di ausilio militare verso l’Etiopia, a suo fratello Cristoforo, e alla quale partecipò lo stesso Bermudes.
La prima occasione di avvicinamento, venne a seguito della vittoria sui musulmani guidati da Gragn; una volta che l’avanzata islamica fu fermata, venne chiesto all’Imperatore etiope Claudio, di ratificare e riconoscere la nomina di Giovanni come Patriarca d’Etiopia. Claudio, seppur fu grato ai portoghesi, tanto da concedere loro feudi ed onori, oltre ad aver aperto ad un certo seppur iniziale riconoscimento del Vescovo di Roma come guida religiosa, ciononostante era troppo legato a mantenere i rapporti con Alessandria e con l’Egitto, per accettare di stravolgere totalmente la situazione ecclesiastica etiope.

Ritornato in Europa, Giovanni Bermudes partecipò ad una lunga discussione in seno alla Chiesa Cattolica, riguardante la questione ecclesiastica dell’Etiopia, alla quale partecipò addirittura il fondatore dei Gesuiti, Sant’Ignazio De Loyola. Vista l’irregolarità della sua nomina, venne scelto un nuovo Patriarca al posto di Bermudes, nella persona di Giovanni Nunes Barreto, in collaborazione del quale furono nominati come Vescovi ausiliari Andrea de Oviedo e Melchior Carneyro.
Questi si imbarcarono, nel 1555, alla volta di Goa sotto la protezione del Governatore dell’India, che nel frattempo aveva mandato un’ambasceria in Etiopia per sondare il terreno. La situazione continuava a rimanere in stallo, tanto che si ritenne più opportuno far restare a Goa il neo Patriarca, ed inviare in terra etiope solo il Vescovo Andrea de Oviedo con cinque Gesuiti al seguito.
Il Vescovo de Oviedo tenne in quegli anni, numerose discussioni con il clero e gli amministratori etiopi e, sebbene le volontà delle parti non sembravano giungere ad un accordo, ciononostante i successori dell’Imperatore Claudio, Sartsa Denguel e Minas (quest’ultimo soprattutto), diedero al Vescovo ausiliario di fondare una prima missione a Fremona nella Regione del Tigray, vicino ad Axum. Nel frattempo il Vescovo de Oviedo aveva ereditato la carica di Patriarca d’Etiopia, a seguito della morte di Barreto a Goa; ma l’esercizio di questa autorità era limitata alla sola missione di Fremona, che era comunque ben lontana dai luoghi di corte tale da poter esercitare una qualche influenza, tanto che nel 1597 si estinse, per ripartire però nello stesso anno con l’arrivo di un Sacerdote secolare di nome Melchiorre da Sylva, il quale fu poi raggiunto nel 1603 da un gesuita, tale Pedro Paez, che divenne l’anima della missione, e che aveva già tentato nel 1588 di errivare in Etiopia, se non fosse stato per il fatto che il mercantile sul quale egli si fosse imbarcato, venne catturato dagli Ottomani, e dovette trascorrere cinque anni schiavo nello Yemen. Paez, molto dotato nelle lingue, quando arrivò in Etiopia conosceva già l’arabo ed il persiano, ed in terra etiope apprese le due lingue principali del posto che sono l’amharico ed il ge’ez.

Grazie al suo carisma personale, si accattivò subito le simpatie dell’Imperatore etiope Susenyos, il quale nel 1608 gli concesse un feudo e la possibilità di fondare una seconda missione a Gorgora presso il lago Tana, vicina alla sede imperiale che si trovava presso Coga.
Già in quegli anni si era concretizzata una seria possibilità di portare l’Etiopia in comunione con Roma; grazie infatti all’ascendente che Paez ebbe con i due imperatori precedenti a Suseynos, e cioè con Jakob e con Za Denguel, il gesuita era riuscito a far instaurare un rapporto epistolare sia con il Re del Portogallo che con il Papa, del quale Paez si era raccomandato che questo rimanesse segreto, nel mentre nella società etiopica si era creato un movimento in favore dell’unità con Roma.
Sebbene, a seguito di ciò, si creò comunque un movimento contrario all’unione con la Chiesa Cattolica, ciononostante il progetto stava continuando sotto una buona luce anche con l’Imperatore Susenyos, che oramai aveva ufficialmente deciso di optare per l’a comunione con Roma, tanto che anche il suo fratellastro, Cela Krestos, Vicerè prima nel Tigray e poi nel Goggiam, decise di convertirsi definitivamente alla fede cattolica; una così alta ed importante conversione, ne generò di altre all’interno della corte imperiale, tanto da poter permettere la fondazione di una terza missione gesuita a Collela, posta sotto la direzione dell’italiano Francesco Antonio de Angelis.

Ovviamente non si fecero attendere le levate di scudi degli oppositori che avevano alla loro guida l’abuna Simone; a seguito di una riunione tra le parti, avvenuta nel 1614, la situazione degenerò in uno scontro armato, nel quale Susenyos si scontrò con un altro suo fratellastro, Emana Krestos ed il suo genero, Vicerè del Tigray. La battaglia si concluse con la vittoria dell’Imperatore etiope.
La vicenda prese però una piega inaspettata quando a seguito della morte di Paez nel 1622, venne inviato come sostituto il portoghese Alfonso Mende, che venne anche investito della carica di Patriarca d’Etiopia che era rimasta vacante dalla morte di de Oviedo.
Mende, che non era un gesuita, era un uomo energico e coraggioso, ma evidentemente non molto abile nella politica e soprattutto, poco conoscitore di quel Paese e delle sue vicende politico-religiose. Il nuovo Patriarca, infatti, instaurò un modus operandi molto più improntato sul comando e sull’intransigenza, tanto da consigliare all’Imperatore Susenyos di imporre la fede cattolica con la forza e di impedire le circoncisioni. Le modalità d’azione di Mende, provocarono forti contrasti tra la popolazione, tanto che Susenyos, resosi conto della situazione nella quale si fosse cacciato, decise di abdicare in favore del figlio Fasilidas.
Questi, al contrario del padre, si dimostrò immediatamente di tutt’altre vedute, e si rifiutò di ricevere Mende a corte, e lo esiliò a Fremona insieme agli altri gesuiti. Nel 1603 vennero esiliati, e coloro che continuavano a proclamarsi cattolici, vennero impiccati.

Da allora, l’Etiopia non si trovò mai più così vicina dall’unione con Roma, che venne purtroppo impedita sia da una inesperta politica religiosa ed ecclesiastica di un altrettanto inesperto Mende, che finì per bruciare le tappe di un processo di annessione fondamentale e storico, e sia a causa di una certa cecità di politica religiosa che, interessi di potere ecclesiastico etiope, volevano usare per mantenere i rapporti con il Patriarcato d’Egitto.

Certamente, la Chiesa Cattolica ha perso l’opportunità di annettere al Corpo Mistico di Cristo, una Nazione ed un popolo che assolutamente avrebbero potuto arricchire l’azione e la consapevolezza pastorale della Chiesa Romana, ma contemporaneamente il popolo e la Chiesa etiopi, hanno ugualmente perso la possibilità di ricevere dalla Comunione con Roma, quella Luce di Perfezione spirituale e cognitiva, con cui leggere e comprendere la propria storia e le proprie tradizioni, certamente di grande portata religiosa e storica.
Ma la Speranza, la Fede e la Carità, ci impongono di continuare a confidare, aspettare e credere, che anche questi figli di Sion possano fare ritorno IN Sion.

שְׁמַע אתיופיה ה’ אֱלֹהֵינוּ ה’ אֶחָד (Shemà Kush Adonai Elohenu, Adonai Echad)
ኢትዮጵያ ሆይ ስማ ጌታ አምላካችን ጌታ አንድ ነው (ītiyop’iya hoyi sima gēta āmilakachini gēta ānidi newi)
Ascolta Etiopia, il Signore nostro Dio, uno è il Signor.

Emmanuel Giuseppe Colucci Bartone

EMMANUEL GIUSEPPE COLUCCI BARTONE

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